Locuzione che indica il complesso di avvenimenti storici, politici e culturali
verificatisi in Francia nel periodo compreso tra il 1789, anno di convocazione
degli Stati Generali, e il 1799, anno del colpo di Stato del 18 Brumaio o,
secondo una diversa prospettiva storiografica, il 1804, anno in cui Napoleone
proclamò l'Impero. La
R.f. fu l'esito di un vasto e pregresso
movimento culturale ed esercitò in tutta Europa un'influenza duratura e
significativa sul piano della dottrina politica e sociale, anche grazie alla
diffusione goduta dai principi rivoluzionari in seguito alla campagne militari
napoleoniche. Antecedenti culturali e ideali della
R.f. furono
l'Illuminismo, con il suo portato filosofico, storiografico, scientifico e
giuridico; l'azione riformatrice di molti sovrani europei, sia in ambito
amministrativo sia legislativo; la rivolta, anch'essa di matrice illuminista e
libertaria, delle colonie americane contro la Gran Bretagna, di cui fu
espressione il Bills of Rights del 1776. Furono assai consistenti anche gli
elementi di progresso culturale e sociale, che neanche la fine dello Stato
rivoluzionario e la Restaurazione riuscirono a invalidare: lo Stato non
poté più essere concepito come coincidente con il re e il suo
volere o con il mero potere del regime, ma come espressione di una Nazione e
della sua volontà, di un popolo attore della propria storia; la classe
borghese subentrò all'aristocrazia come interprete privilegiata della
politica, dell'economia e dell'amministrazione, soppiantando con il principio di
merito quello di nascita; la classe militare e l'esercito professionale furono
sostituiti da un esercito di leva; l'ordinamento politico e l'istruzione furono
radicalmente laicizzati. ║
Dagli Stati Generali all'elezione
dell'Assemblea legislativa (
1789-91): negli anni immediatamente
successivi alla guerra condotta contro gli Inglesi nelle colonie americane (Pace
di Versailles, 1783), la Francia visse una crisi di eccezionale gravità.
Ne erano causa il deficit del bilancio statale, le rigide rivendicazioni dei
propri privilegi da parte della classe nobiliare e feudale e la polemica
costituzionale e riformista condotta dai
philosophes e dagli
enciclopedisti
. Nel 1786, su proposta del primo ministro C.A. Calonne, il
re convocò l'assemblea dei notabili per deliberare sull'imposizione di
nuove tasse sui redditi fondiari, per la prima volta a carico anche degli ordini
feudali ed ecclesiali. L'aristocrazia feudale si oppose tenacemente a tale
decisione, che avrebbe sancito il principio di uguaglianza impositiva tra i
cittadini, indipendentemente dal ceto di appartenenza. La resistenza nobiliare
agli intenti governativi, troppo blandamente sostenuti dal re Luigi XVI che pure
li aveva inizialmente ispirati, portò alla destituzione dello stesso
Calonne e del suo successore L. de Brienne e assunse il carattere di reazione
aristocratica all'assolutismo monarchico e di autodifesa degli ordini
privilegiati. Parallelamente cresceva però un movimento contro
l'assolutismo di segno opposto, condotto dalla borghesia mercantile e
imprenditoriale, che mirava a una riforma della Monarchia in senso democratico e
costituzionale. Intimorito da tali fermenti, il re chiamò come ministro
J. Necker, filoaristocratico, che convocò gli Stati Generali (5 maggio
1789), istituto rappresentativo delle tre componenti sociali del popolo
francese, le cui decisioni venivano prese mediante votazione per ordine, fatto
che rendeva l'aristocrazia arbitro di ogni decisione. I
cahiers de
doléances, compilati in tutto il Paese, evidenziavano già tra
gli ordini la divergenza nei motivi di rimostranza: la borghesia, però,
vide subito frustrate le sue aspettative dalla restrizione della discussione,
imposta dal re, ai soli problemi finanziari e dal rifiuto di introdurre il voto
per capo, che avrebbe scalzato il potere di alto clero e nobiltà, i cui
rappresentanti erano meno numerosi di quelli della borghesia e del basso clero.
Il re e l'aristocrazia, nuovamente alleati contro il nemico comune, inasprirono
il dibattito fino a estromettere la borghesia dalla sala delle riunioni: il 17
giugno il Terzo Stato si riunì autonomamente nella Sala della Pallacorda,
costituendosi in Assemblea Nazionale ed esercitando il diritto di riformare il
sistema tributario. Benché tale atto fosse una esautorazione dei poteri
regi, la maggioranza del clero si unì all'Assemblea e lo stesso monarca
invitò i nobili a parteciparvi. A Parigi, tuttavia, la situazione si
aggravò, sia a causa dell'arrivo di truppe mercenarie, che si temevano
inviate per reprimere i lavori di riforma, sia per l'acutizzarsi della crisi
economica, ormai insostenibile per poveri e disoccupati. Accanto alla
rivoluzione borghese che agiva nell'Assemblea, ufficialmente convertita in
Costituente (9 luglio), si dispiegò da un lato la sollevazione del popolo
urbano parigino, che culminò, dopo alcuni giorni di incidenti e tumulti,
nell'assalto alla Bastiglia, simbolo dell'oppressione regia e feudale,
dall'altro la rivolta contadina nelle campagne. Il concorrere di queste tre
forze spinse l'Assemblea a due risoluzioni di enorme importanza: il 4 agosto
furono aboliti tutti i privilegi sia degli individui sia degli ordini e il 26
agosto fu votata la
Déclaration universelle de droits de l'homme et du
citoyen, che sanciva l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la
libertà di pensiero e di espressione, la tutela della persona e della
proprietà. Il re fu costretto ad abbandonare i progetti di repressione
armata, congedare le truppe e assecondare le riforme sancite dall'Assemblea. La
violenza delle rivolte contadine, tuttavia, impaurì i settori della
più ricca borghesia e i nuovi capitalisti e il timore di eccessi popolari
spinse una parte della Costituente a raccogliersi in una sorta di partito di
centro, incline alle riforme ma anche a ricercare una mediazione con il re. Al
centro moderato si opponeva la sinistra più radicale dell'Assemblea,
contraria al progetto di una Monarchia costituzionale all'inglese, affiancata da
una Camera alta e sostenuta dall'alleanza tra nobiltà terriera e ricca
borghesia mercantile. La sinistra, coadiuvata da un'intensa campagna di organi
di stampa quali «L'ami du peuple» di J-P. Marat, ispirò e
diresse la marcia del popolo parigino a Versailles il 5 e 6 ottobre 1789: in
tale occasione fu imposta al re la firma dei decreti sopracitati, che egli non
aveva ancora apposto, sperando di poter riprendere il controllo della situazione
e invalidare le decisioni assembleari. La folla ottenne anche che il re si
trasferisse nella capitale, alle Tuileries, presto seguito dall'Assemblea che si
consegnava in tal modo al controllo diretto della cittadinanza, mentre
l'opinione pubblica si formava e ripartiva nei cosiddetti
club, tra cui
quello dei
giacobini, dei
cordiglieri, ecc. Nel 1790 i contrasti
fra conservatori e democratici si acuirono in merito alla regolamentazione delle
questioni finanziaria e religiosa. Fu deciso che lo Stato incamerasse i beni
della Chiesa francese e li rivendesse per risanare l'erario: la vendita forzosa,
tuttavia, fu condotta in modo tale da favorire gli acquirenti più
facoltosi, provocando non solo malcontento, ma anche esiti inflattivi
sull'economia nazionale. A causa delle espropriazioni e dell'abolizione delle
decime, si rese necessaria una riorganizzazione del clero: dapprima fu votata la
soppressione degli ordini regolari (febbraio 1790), poi la Costituzione civile
del clero (luglio 1790), in base alla quale i sacerdoti venivano equiparati a
funzionari pubblici, come questi stipendiati ma tenuti al giuramento di
fedeltà alla Costituzione. Sia per i parroci sia per i vescovi, inoltre,
era prevista l'elezione da parte dei cittadini, di cui il papa avrebbe
semplicemente ricevuto una notifica, senza diritto di intervento nella nomina.
Da tale impianto legislativo sortì una divisione interna al corpo
ecclesiale francese tra sacerdoti costituzionalisti e refrattari: questi ultimi,
in maggioranza soprattutto nelle campagne, si saldarono alle forze
controrivoluzionarie e conservatrici. Queste, maggioritarie nell'Assemblea,
perseguirono l'obiettivo della Monarchia costituzionale basata su un sistema
censitario, limitando il diritto di voto attivo e quello all'eleggibilità
ai cittadini che pagavano imposte pari almeno, rispettivamente, a 20 soldi e a
un marco d'argento. In un'atmosfera di incertezza, alimentata anche dal
perdurare delle rivolte contadine contro il prelievo fiscale sui prodotti
agricoli, alcuni notabili consigliarono al re la fuga, che egli tentò la
notte del 20 giugno 1791. La famiglia reale fu arrestata a Varennes e ricondotta
a Parigi e l'evento esasperò i sentimenti antimonarchici tra la
popolazione, che interpretava la fuga come un tentativo di appellarsi ai Paesi
stranieri per suscitare un'invasione. La convinzione che esistesse realmente un
complotto di Luigi XVI e degli aristocratici ai danni del popolo, e della pur
moderata Costituente, scatenò tumulti guidati dai club più
radicali dei giacobini e dei cordiglieri. La manifestazione in Campo di Marte
del luglio 1791 fu repressa nel sangue dalle truppe del generale La Fayette; in
quell'occasione furono anche imprigionati i capi democratici, al fine di
boicottare la loro partecipazione alle elezioni per la nuova Assemblea
legislativa. Era infatti stata votata la bozza finale della nuova Costituzione
(settembre 1791): essa prevedeva, oltre alle norme censuarie sopracitate, un
consistente decentramento amministrativo; la netta distinzione (mutuata da
Montesquieu) fra potere legislativo, affidato a un'unica camera elettiva, potere
esecutivo, guidato formalmente dal re cui spettava la nomina e la revoca dei
ministri, e giudiziario, esercitato da giudici eletti dal popolo (unico punto di
contatto tra poteri, non a caso molto osteggiato, era il diritto di veto sulle
leggi concesso al re). La Costituzione inoltre proclamava la libertà di
iniziativa e di impresa, sciogliendo ogni vincolo corporativo, e
l'inviolabilità della proprietà. Tali provvedimenti, soprattutto
economici, risultavano dalla preoccupazione di garantire un trapasso pacifico
del potere alla ricca borghesia, pressoché ignorando le istanze sia dei
contadini (mezzadrie, prelievi fiscali, pascoli comuni, ecc.) sia del popolino
urbano (diritto al lavoro, calmiere dei prezzi, ecc.). Il Paese, però,
mostrò di non aderire all'orientamento politico schiettamente borghese e
moderato espresso da queste riforme, eleggendo all'Assemblea legislativa
numerosi deputati di più netta ispirazione rivoluzionaria e democratica:
tra questi una minoranza radicale era quella dei giacobini, cui si affiancavano
i più numerosi
girondini (molti avvocati e giornalisti così
chiamati dal nome del dipartimento di provenienza di molti fra loro, la Gironda)
rappresentanti della borghesia provinciale, e i
foglianti, i fuoriusciti
più moderati dei club. ║
L'Assemblea legislativa,
la
guerra e la fine della Monarchia (
1791-93): nella nuova Assemblea,
insediata il 1° ottobre 1791, pressoché tutte le correnti premevano
per una politica estera aggressiva, benché spinti da motivazioni diverse.
Il re e la nobiltà speravano nella sconfitta della Francia e nella
restaurazione della Monarchia assoluta per mano straniera; i foglianti e i
seguaci di La Fayette, che controllava l'esercito, miravano a liquidare
l'Assemblea e i club per instaurare un Regno costituzionale, guidato da
un'oligarchia borghese e dall'aristocrazia riformatrice; i girondini puntavano a
ricompattare le diverse componenti rivoluzionarie, scaricando contro i nemici
esterni le tensioni sociali e colpendo le attività dei cospiratori
interni. Unici contrari erano i giacobini che, per voce di M. Robespierre
(V.), affermavano la necessità di abbattere
all'interno i nemici della rivoluzione prima di volgersi all'esterno. E infatti,
quando, al termine di aggressive mosse diplomatiche tra Francia da una parte e
Prussia e Austria dall'altra, il 20 aprile 1792 l'Assemblea votò la
dichiarazione di guerra a larghissima maggioranza, fu presto evidente che
né la Francia era militarmente pronta a farvi fronte né la
borghesia girondina era in grado di condurla e di schiacciare, nel contempo, le
forze reazionarie interne che collaboravano con il nemico, soprattutto nelle
regioni di frontiera. Robespierre invitò i suoi sostenitori a vanificare
il disegno restauratore che aveva voluto la guerra: era ormai necessario vincere
a ogni costo, per salvare la rivoluzione. La tensione politica raggiunse il
culmine quando, in seguito a provvedimenti per la difesa interna, Luigi XVI
dimissionò il ministero girondino e lo sostituì con uno dei
foglianti e fayettisti: i girondini organizzarono una pressione di piazza, negli
intenti pacifica, nei confronti del re, ma i giacobini ne presero la testa
trasportando addirittura i cannoni alle Tuileries. L'esasperazione popolare era
massima anche per l'aggravarsi dell'inflazione, la scarsità delle
vettovaglie e l'aumento dei prezzi e trovava espressione politica nelle
richieste di un calmiere dei generi di prima necessità e di una legge
agraria e nella discussione del diritto di proprietà: rivendicazioni
allarmanti tanto per la borghesia quanto per la nobiltà. L'inefficacia
della pressione girondina sul re creò una grave
impasse, dal
momento che destituirlo avrebbe lasciato spazio a una prospettiva radicale
indesiderata dalla borghesia, mentre l'inazione avrebbe messo a rischio tutte le
conquiste della prima Costituzione. Nell'agosto, a causa delle vittorie
austriache e del proclama del duca di Brunswick che minacciava Parigi, fu
proclamato lo stato di pericolo della patria e nella capitale confluirono forze
popolari di varie regioni di Francia. Cordiglieri e giacobini, guidati
sapientemente da G.-J. Danton, si impegnarono a finalizzare politicamente la
collera popolare, indirizzando all'Assemblea un ultimatum perché
destituisse il re. Scaduto il termine, il 10 agosto 1792 una comune
insurrezionale si insediò presso l'Hôtel de Ville e dichiarò
decaduto Luigi XVI; di lì la folla si mosse all'assalto delle Tuileries,
massacrando la guarnigione svizzera che difendeva i reali, che furono rinchiusi
nella prigione del Tempio. Nonostante la prova di forza, cordiglieri e giacobini
non potevano sottovalutare il prestigio e l'appoggio sociale che godeva la
Gironda, perciò non sciolsero subito l'Assemblea legislativa, ma
indissero l'elezione, questa volta a suffragio universale, della Convenzione e
insediarono un Tribunale straordinario per processare i nemici della
rivoluzione. L'equilibrio sia interno sia al fronte era però assai
fragile e vacillò quando si ebbe notizia di ulteriori successi austriaci
a Longwy e a Verdun. I membri dell'Assemblea legislativa presero allora alcune
iniziative: definirono Luigi XVI non decaduto ma sospeso dai suoi poteri,
abolirono la distinzione tra cittadini attivi e passivi e istituirono un
Direttorio municipale per esautorare il Comune rivoluzionario, di cui abrogarono
i poteri il 30 agosto. Per tutta risposta la popolazione parigina si
sollevò nuovamente tra il 2 e il 5 settembre e, accusando la reazione di
collaborare con le armate nemiche, massacrò centinaia di detenuti
politici. L'insurrezione dell'estate 1792 ebbe, secondo gli storiografi,
carattere nazionale ma anche sociale: la resero tale il coinvolgimento di truppe
e volontari, destinati poi al fronte, non parigini (bretoni, marsigliesi, ecc.)
e delle masse cittadine di elettori passivi, operai, artigiani. L'introduzione
del suffragio universale e l'armamento della cittadinanza significarono il
superamento della mediazione liberale e borghese, l'avvento dello Stato
repubblicano e di una democrazia popolare e radicale; per ciò stesso
furono tuttavia origine di ulteriori fratture e antagonismi tra forze sociali -
borghesi e popolari - entrambe animatrici del cammino rivoluzionario. Il 20
settembre 1792 si insediò la nuova Convenzione, di 749 membri: la
maggioranza girondina era stata eletta dalle province, mentre la capitale aveva
eletto per lo più rappresentanti giacobini e radicali, riunitisi nella
formazione della cosiddetta Montagna (Vedi
MONTAGNA, LA). Primo
atto di questo organismo fu la proclamazione della Repubblica, una e
indivisibile, lo stesso giorno (21 settembre 1792) in cui il generale Ch.F.
Dumouriez sconfisse gli Austriaci a Valmy. La Convenzione ripropose, ma con
maggior virulenza, il conflitto politico tra l'ispirazione federalista,
liberista e individualista borghese (a tutela delle libertà di commercio
e di impresa) e le tradizionali istanze dei ceti popolari, per l'imposizione di
un calmiere e la realizzazione dei principi egualitari, che mettevano in dubbio
anche il diritto alla proprietà privata delle terre, e del centralismo
rivoluzionario. Il contrasto tra la Gironda di J.-M. Roland e la Montagna di
Robespierre e L.-A.-L. Saint-Just si palesò durante il processo a Luigi
XVI, accusato di complicità con la nemica corte di Vienna anche in base a
prove oggettive rinvenute nei suoi appartamenti dopo l'arresto. Il tentativo dei
girondini di difendere il re suonò come una sconfessione degli ultimi
eventi rivoluzionari e, mentre Luigi XVI fu ghigliottinato nel gennaio 1793 e
sua moglie Maria Antonietta pochi mesi più tardi, gli stessi moderati
furono accusati di involuzione conservatrice delle loro posizioni. ║
La
caduta dei girondini,
la costituzione del 1793 e il «Terrore»
(
1793-94): la grande vittoria che i Francesi avevano conseguito a
Jemappes (novembre 1792) e l'invasione di Belgio e Olanda nel febbraio 1793
spinsero l'Inghilterra ad aprire le ostilità contro il Governo
rivoluzionario. Alla sempre più vasta coalizione si unirono anche la
Spagna, tutti i maggiori Stati italiani e la Russia. Le armate francesi furono
sconfitte già nel marzo 1793 a Neerewinden e, mentre gli alleati
rioccupavano il Belgio e gli Spagnoli penetravano in Francia dai confini
meridionali, Dumouriez passava al nemico. L'andamento preoccupante della guerra
e l'aggravarsi della crisi finanziaria non disinnescarono la tensione sociale
interna, che anzi crebbe soprattutto nella capitale ad opera dei sanculotti
(V.). Le forze controrivoluzionarie scelsero
questo momento di difficoltà come propizio per un'insurrezione: la
rivolta della Vandea (marzo 1793) fu presto imitata in molte province del Sud,
del centro e dell'Ovest. Nella Convenzione si esasperava intanto lo scontro tra
girondini e montagnardi, crescendo il potere e l'iniziativa di questi ultimi che
via via instaurarono un sistema di controlli politici centralisti e di polizia
(comitati di sorveglianza in tutti i comuni in funzione antireazionaria,
perquisizioni domiciliari, ecc.). Il 10 aprile 1793 Robespierre accusò la
Gironda di complicità con il traditore Dumouriez, cui essa non seppe
reagire adeguatamente: tra il 31 maggio e il 2 giugno, i suoi membri furono
espulsi dalla Convenzione e i principali esponenti arrestati. Robespierre
accentrò i poteri nelle sue mani, presiedendo un nuovo organo esecutivo
della Convenzione, il Comitato di salute pubblica, di cui erano membri anche
Saint-Just e Couthon. Nel giugno la Convenzione approvò la sua
Costituzione: in essa si enunciavano, oltre ai valori storici di uguaglianza e
libertà, anche il diritto alla sussistenza, all'istruzione e al lavoro;
dal punto di vista della dottrina giuridica, la nuova carta preferiva lo spirito
del
contrat social di Rousseau alla divisione dei poteri di Montesquieu,
ripudiando di fatto l'esempio inglese e prediligendo una democrazia di tipo
diretto. Vero sovrano era il popolo, fonte del potere legislativo ed esecutivo:
ad esso spettava il controllo di ogni atto compiuto in suo nome, la sanzione di
ogni legge e il diritto di revoca degli eletti. La Costituzione del 1793,
però, non fu mai applicata a causa della continua emergenza bellica e
politico-sociale, che si riteneva meglio gestita da un Governo rivoluzionario,
istituito per decreto. Tuttavia le decisioni più radicali furono prese
sotto la pressione dei sanculotti e dei delegati estremisti parigini, guidati da
J. Hébert: il 23 agosto il Comitato impose una leva speciale per armare
un esercito di 750.000 uomini agli ordini di L. Carnot, in settembre fu
costituito un corpo di polizia, per garantire l'approvvigionamento della
capitale, e approvata la legge antinflattiva del
maximum, che imponeva un
tetto al prezzo dei generi alimentari (gradito ai sanculotti) ma anche ai salari
(gradito agli imprenditori borghesi). La nuova fase rivoluzionaria ebbe ricadute
anche sul piano culturale, in un processo di scristianizzazione della
società, sostituendo la religione canonica con un generico teismo (culto
dell'Ente Supremo) o con una sorta di liturgia civile (culto della Ragione),
scanditi da una nuova cronologia (introduzione delle decadi, del calendario
rivoluzionario - V.
CALENDARIO -, computo degli anni dalla
proclamazione della Repubblica nel 1792, ecc.). La presa del potere dei
giacobini, che di fatto controllavano solo i dipartimenti limitrofi alla
capitale, aveva coinciso con il momento più duro della guerra: i vandeani
si erano spinti fino alla Loira, gli Inglesi avevano preso Tolone, gli Austriaci
minacciavano Noyon, e a Sud penetravano Spagnoli e Sardi. Inoltre i girondini
sfuggiti alla repressione avevano stabilito i propri centri di azione a
Marsiglia, Lione, Bordeaux e Nîmes. Solo nell'autunno 1793 il Governo
rivoluzionario poté cogliere i primi successi battendo gli Inglesi e gli
Austriaci, rioccupando Lione e Bordeaux e ricacciando i vandeani. La stasi della
guerra diede corso alle contraddizioni politiche da cui anche il regime
giacobino non era esente: se la Gironda aveva rappresentato gli interessi
dell'alta borghesia e dell'imprenditoria, Robespierre conduceva di fatto la
rivoluzione per conto dei piccoli borghesi e artigiani, superato a sinistra dai
sanculotti, di cui gli hébertisti raccoglievano le istanze. Questi ultimi
guidarono l'opposizione facendo leva sul malcontento per il funzionamento del
calmiere dei prezzi, a fronte di un efficace contenimento dei salari, e per
l'infiltrazione delle organizzazioni popolari da parte del Comitato che
intendeva così riportarli alla stretta obbedienza giacobina. Con l'accusa
di cospirazione con lo straniero, il Governo rivoluzionario colpì la
sinistra hébertista (ghigliottinandone i capi nel marzo 1794) ma, per non
alienarsi pericolosamente la base sanculotta, già in aprile
riservò la stessa accusa e la medesima punizione alla corrente, detta
degli indulgenti, guidata da Danton, Desmoulin, Philippeaux, ecc. Questi ultimi,
infatti, intralciavano gli obiettivi di Robespierre, perorando l'abolizione di
tutte le misure di sicurezza, un ritorno alla moderazione e alla libertà
economica e, infine, la pacificazione con l'Inghilterra. Questo punto
offrì l'appiglio all'accusa, condotta da Saint-Just, di agire contro gli
interessi nazionali. Tuttavia, la macabra equità dimostrata nei confronti
delle ali estreme dell'antica formazione montagnarda non giovò a
Robespierre quando, a sua volta, fu attaccato: la sua politica, infatti, era
stata più contraddittoria che imparziale, soprattutto nella stretta
finale, quando si intensificarono la repressione (più di 1.300 esecuzioni
solo a Parigi), le sanzioni contro i sospetti, l'abolizione dei Tribunali
provinciali a vantaggio della gestione centralizzata anche dell'azione
giudiziaria. La vittoria militare di Fleurus (giugno 1794), assicurando
definitivamente le frontiere dai nemici, diede coraggio ai diversi avversari del
Comitato, che costituirono un'inedita alleanza per abbattere il regime del
«Terrore»: mentre le forze interessate all'abbattimento del dirigismo
economico, politico e culturale agivano, i sanculotti, che da quel medesimo
dirigismo avevano guadagnato ben poco, non si opposero o addirittura si
lasciarono coinvolgere. Superstiti girondini, hébertisti, dantonisti,
moderati della prima o dell'ultima ora, deputati corrotti e tutti coloro che si
sentivano minacciati da Robespierre collaborarono alla sua messa in stato di
accusa: il 9 Termidoro (27 luglio 1794) fu arrestato e il 10 ghigliottinato,
senza processo, insieme ai principali responsabili del «Terrore».
║
Il Governo di Termidoro,
la Costituzione di Fruttidoro e il
colpo di Stato del 18 Brumaio (
1794-99): la reazione di Termidoro,
benché di matrice moderata, non ebbe inizialmente carattere restauratore.
Rispettò l'istituzione repubblicana, ma si impegnò a chiudere la
fase radicale della rivoluzione smantellando i provvedimenti dei giacobini,
secondo le istanze della ricca borghesia e dei nuovi ceti imprenditoriali che
avviarono grandi speculazioni (acquisto dei beni statali e demaniali, di quelli
ecclesiastici e degli esuli e delle terre a pascolo comune nelle campagne). Il
Comitato di salute pubblica fu limitato nelle sue attribuzioni, furono soppressi
i comitati rivoluzionari e il club giacobino, vennero richiamati i girondini
esiliati e liberati i detenuti politici, fu concessa la riapertura delle chiese
in Vandea e l'amnistia ai ribelli. I provvedimenti economici danneggiarono le
classi meno abbienti: all'abolizione del
maximum e di ogni forma di
dirigismo seguì infatti una rapida ripresa dell'inflazione che, insieme
alla carestia e ai postumi dello sforzo bellico, ridusse in miseria larga parte
della popolazione. Il malcontento suscitò episodi insurrezionali, guidati
dai montagnardi ancora attivi, al grido di «pane e Costituzione del
'93» (dicembre 1794, marzo e maggio 1795) che furono repressi nel sangue.
Temendo però una ripresa della Montagna, i moderati cercarono l'alleanza
della destra e perfino dei monarchici. In questo clima maturò e fu votata
dalla Convenzione, ormai orientata in senso esclusivamente borghese e
conservatore, la Costituzione del 1795 (detta di Fruttidoro): essa accoglieva i
principi del 1791 in merito all'istituto del censo e alla netta separazione dei
poteri, anche se introdusse un sistema bicamerale (Consiglio dei Cinquecento e
degli Anziani) e un organo esecutivo a carattere collegiale (Direttorio), eletto
dagli Anziani entro una rosa di nomi proposti dai Cinquecento. Le elezioni si
svolsero in un clima di crescente reazione dei realisti, al punto che, per
scoraggiarne l'azione violenta, il Governo ancora in carica fu costretto al
riarmo di giacobini e dei sanculotti e a invocare l'intervento dell'esercito. Il
2 novembre il primo Direttorio, composto da La Revellière, Letourneur,
Reubell, Barras e Carnot, si insediò, mentre la situazione economica era
ormai al tracollo. Per sanarla i cinque si rivolsero dapprima ai banchieri e ai
capitalisti, in seguito ai generali che, occupando i Paesi conquistati, potevano
convogliare in patria le ricchezze locali: ciò contribuì alla
tendenza espansionista della nuova Francia. La liberalizzazione dell'economia
ebbe effetti tragici sulle condizioni delle classi più misere le quali,
tuttavia, parevano aver smarrito capacità di rivolta: la Congiura degli
Eguali (V. BABEUF, FRANÇOIS NOËL
e BUONARROTI, FILIPPO) repressa nel
1796, non solo fallì ma non riuscì a scuotere le masse cittadine
un tempo pronte all'insurrezione. Anche la destra monarchica cercò di
realizzare un colpo di mano (18 Fruttidoro; settembre 1797) e la messa in stato
di accusa di tre membri del Direttorio, ma fu battuta grazie alla lealtà
dell'esercito e di Napoleone in particolare (V.
NAPOLEONE I
BONAPARTE), vittorioso in Italia nella guerra contro l'Austria, che
sostenne inequivocabilmente la Repubblica e il Direttorio. A partire dal 1798,
mentre il generale combatteva in Egitto, si costituì una seconda
coalizione antifrancese (Inghilterra, Austria, Russia, Regno di Napoli) che
vanificò le conquiste italiane: il Direttorio si dimostrò in tale
frangente incapace di gestire tanto la rinascenza giacobina quanto la reazione
monarchica, al punto che Napoleone ritenne opportuno un intervento di forza. Il
18 Brumaio (novembre 1799) attuò un colpo di Stato, sostituendo ai cinque
direttori in carica una sorta di triumvirato, di cui egli fu il primo console,
affiancato da R. Ducos e E.J. Sieyès (V.
anche DIRETTORIO).