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Rivoluzione francese.

Locuzione che indica il complesso di avvenimenti storici, politici e culturali verificatisi in Francia nel periodo compreso tra il 1789, anno di convocazione degli Stati Generali, e il 1799, anno del colpo di Stato del 18 Brumaio o, secondo una diversa prospettiva storiografica, il 1804, anno in cui Napoleone proclamò l'Impero. La R.f. fu l'esito di un vasto e pregresso movimento culturale ed esercitò in tutta Europa un'influenza duratura e significativa sul piano della dottrina politica e sociale, anche grazie alla diffusione goduta dai principi rivoluzionari in seguito alla campagne militari napoleoniche. Antecedenti culturali e ideali della R.f. furono l'Illuminismo, con il suo portato filosofico, storiografico, scientifico e giuridico; l'azione riformatrice di molti sovrani europei, sia in ambito amministrativo sia legislativo; la rivolta, anch'essa di matrice illuminista e libertaria, delle colonie americane contro la Gran Bretagna, di cui fu espressione il Bills of Rights del 1776. Furono assai consistenti anche gli elementi di progresso culturale e sociale, che neanche la fine dello Stato rivoluzionario e la Restaurazione riuscirono a invalidare: lo Stato non poté più essere concepito come coincidente con il re e il suo volere o con il mero potere del regime, ma come espressione di una Nazione e della sua volontà, di un popolo attore della propria storia; la classe borghese subentrò all'aristocrazia come interprete privilegiata della politica, dell'economia e dell'amministrazione, soppiantando con il principio di merito quello di nascita; la classe militare e l'esercito professionale furono sostituiti da un esercito di leva; l'ordinamento politico e l'istruzione furono radicalmente laicizzati. ║ Dagli Stati Generali all'elezione dell'Assemblea legislativa (1789-91): negli anni immediatamente successivi alla guerra condotta contro gli Inglesi nelle colonie americane (Pace di Versailles, 1783), la Francia visse una crisi di eccezionale gravità. Ne erano causa il deficit del bilancio statale, le rigide rivendicazioni dei propri privilegi da parte della classe nobiliare e feudale e la polemica costituzionale e riformista condotta dai philosophes e dagli enciclopedisti. Nel 1786, su proposta del primo ministro C.A. Calonne, il re convocò l'assemblea dei notabili per deliberare sull'imposizione di nuove tasse sui redditi fondiari, per la prima volta a carico anche degli ordini feudali ed ecclesiali. L'aristocrazia feudale si oppose tenacemente a tale decisione, che avrebbe sancito il principio di uguaglianza impositiva tra i cittadini, indipendentemente dal ceto di appartenenza. La resistenza nobiliare agli intenti governativi, troppo blandamente sostenuti dal re Luigi XVI che pure li aveva inizialmente ispirati, portò alla destituzione dello stesso Calonne e del suo successore L. de Brienne e assunse il carattere di reazione aristocratica all'assolutismo monarchico e di autodifesa degli ordini privilegiati. Parallelamente cresceva però un movimento contro l'assolutismo di segno opposto, condotto dalla borghesia mercantile e imprenditoriale, che mirava a una riforma della Monarchia in senso democratico e costituzionale. Intimorito da tali fermenti, il re chiamò come ministro J. Necker, filoaristocratico, che convocò gli Stati Generali (5 maggio 1789), istituto rappresentativo delle tre componenti sociali del popolo francese, le cui decisioni venivano prese mediante votazione per ordine, fatto che rendeva l'aristocrazia arbitro di ogni decisione. I cahiers de doléances, compilati in tutto il Paese, evidenziavano già tra gli ordini la divergenza nei motivi di rimostranza: la borghesia, però, vide subito frustrate le sue aspettative dalla restrizione della discussione, imposta dal re, ai soli problemi finanziari e dal rifiuto di introdurre il voto per capo, che avrebbe scalzato il potere di alto clero e nobiltà, i cui rappresentanti erano meno numerosi di quelli della borghesia e del basso clero. Il re e l'aristocrazia, nuovamente alleati contro il nemico comune, inasprirono il dibattito fino a estromettere la borghesia dalla sala delle riunioni: il 17 giugno il Terzo Stato si riunì autonomamente nella Sala della Pallacorda, costituendosi in Assemblea Nazionale ed esercitando il diritto di riformare il sistema tributario. Benché tale atto fosse una esautorazione dei poteri regi, la maggioranza del clero si unì all'Assemblea e lo stesso monarca invitò i nobili a parteciparvi. A Parigi, tuttavia, la situazione si aggravò, sia a causa dell'arrivo di truppe mercenarie, che si temevano inviate per reprimere i lavori di riforma, sia per l'acutizzarsi della crisi economica, ormai insostenibile per poveri e disoccupati. Accanto alla rivoluzione borghese che agiva nell'Assemblea, ufficialmente convertita in Costituente (9 luglio), si dispiegò da un lato la sollevazione del popolo urbano parigino, che culminò, dopo alcuni giorni di incidenti e tumulti, nell'assalto alla Bastiglia, simbolo dell'oppressione regia e feudale, dall'altro la rivolta contadina nelle campagne. Il concorrere di queste tre forze spinse l'Assemblea a due risoluzioni di enorme importanza: il 4 agosto furono aboliti tutti i privilegi sia degli individui sia degli ordini e il 26 agosto fu votata la Déclaration universelle de droits de l'homme et du citoyen, che sanciva l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la libertà di pensiero e di espressione, la tutela della persona e della proprietà. Il re fu costretto ad abbandonare i progetti di repressione armata, congedare le truppe e assecondare le riforme sancite dall'Assemblea. La violenza delle rivolte contadine, tuttavia, impaurì i settori della più ricca borghesia e i nuovi capitalisti e il timore di eccessi popolari spinse una parte della Costituente a raccogliersi in una sorta di partito di centro, incline alle riforme ma anche a ricercare una mediazione con il re. Al centro moderato si opponeva la sinistra più radicale dell'Assemblea, contraria al progetto di una Monarchia costituzionale all'inglese, affiancata da una Camera alta e sostenuta dall'alleanza tra nobiltà terriera e ricca borghesia mercantile. La sinistra, coadiuvata da un'intensa campagna di organi di stampa quali «L'ami du peuple» di J-P. Marat, ispirò e diresse la marcia del popolo parigino a Versailles il 5 e 6 ottobre 1789: in tale occasione fu imposta al re la firma dei decreti sopracitati, che egli non aveva ancora apposto, sperando di poter riprendere il controllo della situazione e invalidare le decisioni assembleari. La folla ottenne anche che il re si trasferisse nella capitale, alle Tuileries, presto seguito dall'Assemblea che si consegnava in tal modo al controllo diretto della cittadinanza, mentre l'opinione pubblica si formava e ripartiva nei cosiddetti club, tra cui quello dei giacobini, dei cordiglieri, ecc. Nel 1790 i contrasti fra conservatori e democratici si acuirono in merito alla regolamentazione delle questioni finanziaria e religiosa. Fu deciso che lo Stato incamerasse i beni della Chiesa francese e li rivendesse per risanare l'erario: la vendita forzosa, tuttavia, fu condotta in modo tale da favorire gli acquirenti più facoltosi, provocando non solo malcontento, ma anche esiti inflattivi sull'economia nazionale. A causa delle espropriazioni e dell'abolizione delle decime, si rese necessaria una riorganizzazione del clero: dapprima fu votata la soppressione degli ordini regolari (febbraio 1790), poi la Costituzione civile del clero (luglio 1790), in base alla quale i sacerdoti venivano equiparati a funzionari pubblici, come questi stipendiati ma tenuti al giuramento di fedeltà alla Costituzione. Sia per i parroci sia per i vescovi, inoltre, era prevista l'elezione da parte dei cittadini, di cui il papa avrebbe semplicemente ricevuto una notifica, senza diritto di intervento nella nomina. Da tale impianto legislativo sortì una divisione interna al corpo ecclesiale francese tra sacerdoti costituzionalisti e refrattari: questi ultimi, in maggioranza soprattutto nelle campagne, si saldarono alle forze controrivoluzionarie e conservatrici. Queste, maggioritarie nell'Assemblea, perseguirono l'obiettivo della Monarchia costituzionale basata su un sistema censitario, limitando il diritto di voto attivo e quello all'eleggibilità ai cittadini che pagavano imposte pari almeno, rispettivamente, a 20 soldi e a un marco d'argento. In un'atmosfera di incertezza, alimentata anche dal perdurare delle rivolte contadine contro il prelievo fiscale sui prodotti agricoli, alcuni notabili consigliarono al re la fuga, che egli tentò la notte del 20 giugno 1791. La famiglia reale fu arrestata a Varennes e ricondotta a Parigi e l'evento esasperò i sentimenti antimonarchici tra la popolazione, che interpretava la fuga come un tentativo di appellarsi ai Paesi stranieri per suscitare un'invasione. La convinzione che esistesse realmente un complotto di Luigi XVI e degli aristocratici ai danni del popolo, e della pur moderata Costituente, scatenò tumulti guidati dai club più radicali dei giacobini e dei cordiglieri. La manifestazione in Campo di Marte del luglio 1791 fu repressa nel sangue dalle truppe del generale La Fayette; in quell'occasione furono anche imprigionati i capi democratici, al fine di boicottare la loro partecipazione alle elezioni per la nuova Assemblea legislativa. Era infatti stata votata la bozza finale della nuova Costituzione (settembre 1791): essa prevedeva, oltre alle norme censuarie sopracitate, un consistente decentramento amministrativo; la netta distinzione (mutuata da Montesquieu) fra potere legislativo, affidato a un'unica camera elettiva, potere esecutivo, guidato formalmente dal re cui spettava la nomina e la revoca dei ministri, e giudiziario, esercitato da giudici eletti dal popolo (unico punto di contatto tra poteri, non a caso molto osteggiato, era il diritto di veto sulle leggi concesso al re). La Costituzione inoltre proclamava la libertà di iniziativa e di impresa, sciogliendo ogni vincolo corporativo, e l'inviolabilità della proprietà. Tali provvedimenti, soprattutto economici, risultavano dalla preoccupazione di garantire un trapasso pacifico del potere alla ricca borghesia, pressoché ignorando le istanze sia dei contadini (mezzadrie, prelievi fiscali, pascoli comuni, ecc.) sia del popolino urbano (diritto al lavoro, calmiere dei prezzi, ecc.). Il Paese, però, mostrò di non aderire all'orientamento politico schiettamente borghese e moderato espresso da queste riforme, eleggendo all'Assemblea legislativa numerosi deputati di più netta ispirazione rivoluzionaria e democratica: tra questi una minoranza radicale era quella dei giacobini, cui si affiancavano i più numerosi girondini (molti avvocati e giornalisti così chiamati dal nome del dipartimento di provenienza di molti fra loro, la Gironda) rappresentanti della borghesia provinciale, e i foglianti, i fuoriusciti più moderati dei club. ║ L'Assemblea legislativa, la guerra e la fine della Monarchia (1791-93): nella nuova Assemblea, insediata il 1° ottobre 1791, pressoché tutte le correnti premevano per una politica estera aggressiva, benché spinti da motivazioni diverse. Il re e la nobiltà speravano nella sconfitta della Francia e nella restaurazione della Monarchia assoluta per mano straniera; i foglianti e i seguaci di La Fayette, che controllava l'esercito, miravano a liquidare l'Assemblea e i club per instaurare un Regno costituzionale, guidato da un'oligarchia borghese e dall'aristocrazia riformatrice; i girondini puntavano a ricompattare le diverse componenti rivoluzionarie, scaricando contro i nemici esterni le tensioni sociali e colpendo le attività dei cospiratori interni. Unici contrari erano i giacobini che, per voce di M. Robespierre (V.), affermavano la necessità di abbattere all'interno i nemici della rivoluzione prima di volgersi all'esterno. E infatti, quando, al termine di aggressive mosse diplomatiche tra Francia da una parte e Prussia e Austria dall'altra, il 20 aprile 1792 l'Assemblea votò la dichiarazione di guerra a larghissima maggioranza, fu presto evidente che né la Francia era militarmente pronta a farvi fronte né la borghesia girondina era in grado di condurla e di schiacciare, nel contempo, le forze reazionarie interne che collaboravano con il nemico, soprattutto nelle regioni di frontiera. Robespierre invitò i suoi sostenitori a vanificare il disegno restauratore che aveva voluto la guerra: era ormai necessario vincere a ogni costo, per salvare la rivoluzione. La tensione politica raggiunse il culmine quando, in seguito a provvedimenti per la difesa interna, Luigi XVI dimissionò il ministero girondino e lo sostituì con uno dei foglianti e fayettisti: i girondini organizzarono una pressione di piazza, negli intenti pacifica, nei confronti del re, ma i giacobini ne presero la testa trasportando addirittura i cannoni alle Tuileries. L'esasperazione popolare era massima anche per l'aggravarsi dell'inflazione, la scarsità delle vettovaglie e l'aumento dei prezzi e trovava espressione politica nelle richieste di un calmiere dei generi di prima necessità e di una legge agraria e nella discussione del diritto di proprietà: rivendicazioni allarmanti tanto per la borghesia quanto per la nobiltà. L'inefficacia della pressione girondina sul re creò una grave impasse, dal momento che destituirlo avrebbe lasciato spazio a una prospettiva radicale indesiderata dalla borghesia, mentre l'inazione avrebbe messo a rischio tutte le conquiste della prima Costituzione. Nell'agosto, a causa delle vittorie austriache e del proclama del duca di Brunswick che minacciava Parigi, fu proclamato lo stato di pericolo della patria e nella capitale confluirono forze popolari di varie regioni di Francia. Cordiglieri e giacobini, guidati sapientemente da G.-J. Danton, si impegnarono a finalizzare politicamente la collera popolare, indirizzando all'Assemblea un ultimatum perché destituisse il re. Scaduto il termine, il 10 agosto 1792 una comune insurrezionale si insediò presso l'Hôtel de Ville e dichiarò decaduto Luigi XVI; di lì la folla si mosse all'assalto delle Tuileries, massacrando la guarnigione svizzera che difendeva i reali, che furono rinchiusi nella prigione del Tempio. Nonostante la prova di forza, cordiglieri e giacobini non potevano sottovalutare il prestigio e l'appoggio sociale che godeva la Gironda, perciò non sciolsero subito l'Assemblea legislativa, ma indissero l'elezione, questa volta a suffragio universale, della Convenzione e insediarono un Tribunale straordinario per processare i nemici della rivoluzione. L'equilibrio sia interno sia al fronte era però assai fragile e vacillò quando si ebbe notizia di ulteriori successi austriaci a Longwy e a Verdun. I membri dell'Assemblea legislativa presero allora alcune iniziative: definirono Luigi XVI non decaduto ma sospeso dai suoi poteri, abolirono la distinzione tra cittadini attivi e passivi e istituirono un Direttorio municipale per esautorare il Comune rivoluzionario, di cui abrogarono i poteri il 30 agosto. Per tutta risposta la popolazione parigina si sollevò nuovamente tra il 2 e il 5 settembre e, accusando la reazione di collaborare con le armate nemiche, massacrò centinaia di detenuti politici. L'insurrezione dell'estate 1792 ebbe, secondo gli storiografi, carattere nazionale ma anche sociale: la resero tale il coinvolgimento di truppe e volontari, destinati poi al fronte, non parigini (bretoni, marsigliesi, ecc.) e delle masse cittadine di elettori passivi, operai, artigiani. L'introduzione del suffragio universale e l'armamento della cittadinanza significarono il superamento della mediazione liberale e borghese, l'avvento dello Stato repubblicano e di una democrazia popolare e radicale; per ciò stesso furono tuttavia origine di ulteriori fratture e antagonismi tra forze sociali - borghesi e popolari - entrambe animatrici del cammino rivoluzionario. Il 20 settembre 1792 si insediò la nuova Convenzione, di 749 membri: la maggioranza girondina era stata eletta dalle province, mentre la capitale aveva eletto per lo più rappresentanti giacobini e radicali, riunitisi nella formazione della cosiddetta Montagna (Vedi MONTAGNA, LA). Primo atto di questo organismo fu la proclamazione della Repubblica, una e indivisibile, lo stesso giorno (21 settembre 1792) in cui il generale Ch.F. Dumouriez sconfisse gli Austriaci a Valmy. La Convenzione ripropose, ma con maggior virulenza, il conflitto politico tra l'ispirazione federalista, liberista e individualista borghese (a tutela delle libertà di commercio e di impresa) e le tradizionali istanze dei ceti popolari, per l'imposizione di un calmiere e la realizzazione dei principi egualitari, che mettevano in dubbio anche il diritto alla proprietà privata delle terre, e del centralismo rivoluzionario. Il contrasto tra la Gironda di J.-M. Roland e la Montagna di Robespierre e L.-A.-L. Saint-Just si palesò durante il processo a Luigi XVI, accusato di complicità con la nemica corte di Vienna anche in base a prove oggettive rinvenute nei suoi appartamenti dopo l'arresto. Il tentativo dei girondini di difendere il re suonò come una sconfessione degli ultimi eventi rivoluzionari e, mentre Luigi XVI fu ghigliottinato nel gennaio 1793 e sua moglie Maria Antonietta pochi mesi più tardi, gli stessi moderati furono accusati di involuzione conservatrice delle loro posizioni. ║ La caduta dei girondini, la costituzione del 1793 e il «Terrore» (1793-94): la grande vittoria che i Francesi avevano conseguito a Jemappes (novembre 1792) e l'invasione di Belgio e Olanda nel febbraio 1793 spinsero l'Inghilterra ad aprire le ostilità contro il Governo rivoluzionario. Alla sempre più vasta coalizione si unirono anche la Spagna, tutti i maggiori Stati italiani e la Russia. Le armate francesi furono sconfitte già nel marzo 1793 a Neerewinden e, mentre gli alleati rioccupavano il Belgio e gli Spagnoli penetravano in Francia dai confini meridionali, Dumouriez passava al nemico. L'andamento preoccupante della guerra e l'aggravarsi della crisi finanziaria non disinnescarono la tensione sociale interna, che anzi crebbe soprattutto nella capitale ad opera dei sanculotti (V.). Le forze controrivoluzionarie scelsero questo momento di difficoltà come propizio per un'insurrezione: la rivolta della Vandea (marzo 1793) fu presto imitata in molte province del Sud, del centro e dell'Ovest. Nella Convenzione si esasperava intanto lo scontro tra girondini e montagnardi, crescendo il potere e l'iniziativa di questi ultimi che via via instaurarono un sistema di controlli politici centralisti e di polizia (comitati di sorveglianza in tutti i comuni in funzione antireazionaria, perquisizioni domiciliari, ecc.). Il 10 aprile 1793 Robespierre accusò la Gironda di complicità con il traditore Dumouriez, cui essa non seppe reagire adeguatamente: tra il 31 maggio e il 2 giugno, i suoi membri furono espulsi dalla Convenzione e i principali esponenti arrestati. Robespierre accentrò i poteri nelle sue mani, presiedendo un nuovo organo esecutivo della Convenzione, il Comitato di salute pubblica, di cui erano membri anche Saint-Just e Couthon. Nel giugno la Convenzione approvò la sua Costituzione: in essa si enunciavano, oltre ai valori storici di uguaglianza e libertà, anche il diritto alla sussistenza, all'istruzione e al lavoro; dal punto di vista della dottrina giuridica, la nuova carta preferiva lo spirito del contrat social di Rousseau alla divisione dei poteri di Montesquieu, ripudiando di fatto l'esempio inglese e prediligendo una democrazia di tipo diretto. Vero sovrano era il popolo, fonte del potere legislativo ed esecutivo: ad esso spettava il controllo di ogni atto compiuto in suo nome, la sanzione di ogni legge e il diritto di revoca degli eletti. La Costituzione del 1793, però, non fu mai applicata a causa della continua emergenza bellica e politico-sociale, che si riteneva meglio gestita da un Governo rivoluzionario, istituito per decreto. Tuttavia le decisioni più radicali furono prese sotto la pressione dei sanculotti e dei delegati estremisti parigini, guidati da J. Hébert: il 23 agosto il Comitato impose una leva speciale per armare un esercito di 750.000 uomini agli ordini di L. Carnot, in settembre fu costituito un corpo di polizia, per garantire l'approvvigionamento della capitale, e approvata la legge antinflattiva del maximum, che imponeva un tetto al prezzo dei generi alimentari (gradito ai sanculotti) ma anche ai salari (gradito agli imprenditori borghesi). La nuova fase rivoluzionaria ebbe ricadute anche sul piano culturale, in un processo di scristianizzazione della società, sostituendo la religione canonica con un generico teismo (culto dell'Ente Supremo) o con una sorta di liturgia civile (culto della Ragione), scanditi da una nuova cronologia (introduzione delle decadi, del calendario rivoluzionario - V. CALENDARIO -, computo degli anni dalla proclamazione della Repubblica nel 1792, ecc.). La presa del potere dei giacobini, che di fatto controllavano solo i dipartimenti limitrofi alla capitale, aveva coinciso con il momento più duro della guerra: i vandeani si erano spinti fino alla Loira, gli Inglesi avevano preso Tolone, gli Austriaci minacciavano Noyon, e a Sud penetravano Spagnoli e Sardi. Inoltre i girondini sfuggiti alla repressione avevano stabilito i propri centri di azione a Marsiglia, Lione, Bordeaux e Nîmes. Solo nell'autunno 1793 il Governo rivoluzionario poté cogliere i primi successi battendo gli Inglesi e gli Austriaci, rioccupando Lione e Bordeaux e ricacciando i vandeani. La stasi della guerra diede corso alle contraddizioni politiche da cui anche il regime giacobino non era esente: se la Gironda aveva rappresentato gli interessi dell'alta borghesia e dell'imprenditoria, Robespierre conduceva di fatto la rivoluzione per conto dei piccoli borghesi e artigiani, superato a sinistra dai sanculotti, di cui gli hébertisti raccoglievano le istanze. Questi ultimi guidarono l'opposizione facendo leva sul malcontento per il funzionamento del calmiere dei prezzi, a fronte di un efficace contenimento dei salari, e per l'infiltrazione delle organizzazioni popolari da parte del Comitato che intendeva così riportarli alla stretta obbedienza giacobina. Con l'accusa di cospirazione con lo straniero, il Governo rivoluzionario colpì la sinistra hébertista (ghigliottinandone i capi nel marzo 1794) ma, per non alienarsi pericolosamente la base sanculotta, già in aprile riservò la stessa accusa e la medesima punizione alla corrente, detta degli indulgenti, guidata da Danton, Desmoulin, Philippeaux, ecc. Questi ultimi, infatti, intralciavano gli obiettivi di Robespierre, perorando l'abolizione di tutte le misure di sicurezza, un ritorno alla moderazione e alla libertà economica e, infine, la pacificazione con l'Inghilterra. Questo punto offrì l'appiglio all'accusa, condotta da Saint-Just, di agire contro gli interessi nazionali. Tuttavia, la macabra equità dimostrata nei confronti delle ali estreme dell'antica formazione montagnarda non giovò a Robespierre quando, a sua volta, fu attaccato: la sua politica, infatti, era stata più contraddittoria che imparziale, soprattutto nella stretta finale, quando si intensificarono la repressione (più di 1.300 esecuzioni solo a Parigi), le sanzioni contro i sospetti, l'abolizione dei Tribunali provinciali a vantaggio della gestione centralizzata anche dell'azione giudiziaria. La vittoria militare di Fleurus (giugno 1794), assicurando definitivamente le frontiere dai nemici, diede coraggio ai diversi avversari del Comitato, che costituirono un'inedita alleanza per abbattere il regime del «Terrore»: mentre le forze interessate all'abbattimento del dirigismo economico, politico e culturale agivano, i sanculotti, che da quel medesimo dirigismo avevano guadagnato ben poco, non si opposero o addirittura si lasciarono coinvolgere. Superstiti girondini, hébertisti, dantonisti, moderati della prima o dell'ultima ora, deputati corrotti e tutti coloro che si sentivano minacciati da Robespierre collaborarono alla sua messa in stato di accusa: il 9 Termidoro (27 luglio 1794) fu arrestato e il 10 ghigliottinato, senza processo, insieme ai principali responsabili del «Terrore». ║ Il Governo di Termidoro, la Costituzione di Fruttidoro e il colpo di Stato del 18 Brumaio (1794-99): la reazione di Termidoro, benché di matrice moderata, non ebbe inizialmente carattere restauratore. Rispettò l'istituzione repubblicana, ma si impegnò a chiudere la fase radicale della rivoluzione smantellando i provvedimenti dei giacobini, secondo le istanze della ricca borghesia e dei nuovi ceti imprenditoriali che avviarono grandi speculazioni (acquisto dei beni statali e demaniali, di quelli ecclesiastici e degli esuli e delle terre a pascolo comune nelle campagne). Il Comitato di salute pubblica fu limitato nelle sue attribuzioni, furono soppressi i comitati rivoluzionari e il club giacobino, vennero richiamati i girondini esiliati e liberati i detenuti politici, fu concessa la riapertura delle chiese in Vandea e l'amnistia ai ribelli. I provvedimenti economici danneggiarono le classi meno abbienti: all'abolizione del maximum e di ogni forma di dirigismo seguì infatti una rapida ripresa dell'inflazione che, insieme alla carestia e ai postumi dello sforzo bellico, ridusse in miseria larga parte della popolazione. Il malcontento suscitò episodi insurrezionali, guidati dai montagnardi ancora attivi, al grido di «pane e Costituzione del '93» (dicembre 1794, marzo e maggio 1795) che furono repressi nel sangue. Temendo però una ripresa della Montagna, i moderati cercarono l'alleanza della destra e perfino dei monarchici. In questo clima maturò e fu votata dalla Convenzione, ormai orientata in senso esclusivamente borghese e conservatore, la Costituzione del 1795 (detta di Fruttidoro): essa accoglieva i principi del 1791 in merito all'istituto del censo e alla netta separazione dei poteri, anche se introdusse un sistema bicamerale (Consiglio dei Cinquecento e degli Anziani) e un organo esecutivo a carattere collegiale (Direttorio), eletto dagli Anziani entro una rosa di nomi proposti dai Cinquecento. Le elezioni si svolsero in un clima di crescente reazione dei realisti, al punto che, per scoraggiarne l'azione violenta, il Governo ancora in carica fu costretto al riarmo di giacobini e dei sanculotti e a invocare l'intervento dell'esercito. Il 2 novembre il primo Direttorio, composto da La Revellière, Letourneur, Reubell, Barras e Carnot, si insediò, mentre la situazione economica era ormai al tracollo. Per sanarla i cinque si rivolsero dapprima ai banchieri e ai capitalisti, in seguito ai generali che, occupando i Paesi conquistati, potevano convogliare in patria le ricchezze locali: ciò contribuì alla tendenza espansionista della nuova Francia. La liberalizzazione dell'economia ebbe effetti tragici sulle condizioni delle classi più misere le quali, tuttavia, parevano aver smarrito capacità di rivolta: la Congiura degli Eguali (V. BABEUF, FRANÇOIS NOËL e BUONARROTI, FILIPPO) repressa nel 1796, non solo fallì ma non riuscì a scuotere le masse cittadine un tempo pronte all'insurrezione. Anche la destra monarchica cercò di realizzare un colpo di mano (18 Fruttidoro; settembre 1797) e la messa in stato di accusa di tre membri del Direttorio, ma fu battuta grazie alla lealtà dell'esercito e di Napoleone in particolare (V. NAPOLEONE I BONAPARTE), vittorioso in Italia nella guerra contro l'Austria, che sostenne inequivocabilmente la Repubblica e il Direttorio. A partire dal 1798, mentre il generale combatteva in Egitto, si costituì una seconda coalizione antifrancese (Inghilterra, Austria, Russia, Regno di Napoli) che vanificò le conquiste italiane: il Direttorio si dimostrò in tale frangente incapace di gestire tanto la rinascenza giacobina quanto la reazione monarchica, al punto che Napoleone ritenne opportuno un intervento di forza. Il 18 Brumaio (novembre 1799) attuò un colpo di Stato, sostituendo ai cinque direttori in carica una sorta di triumvirato, di cui egli fu il primo console, affiancato da R. Ducos e E.J. Sieyès (V. anche DIRETTORIO).